Ministero dell’Accoglienza

Un “Ministero” per le nostre Celebrazioni Eucaristiche

INTRODUZIONE

“Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.” (Mt 10,34). Con queste parole Gesù si identifica con ogni discepolo da lui inviato e con tutti coloro nel cui cuore c’è un perenne desiderio di essere accolti. C’è un posto per loro, come familiari e non come estranei, introdotti dal Figlio alla comunione divina, e non come “imbucati alla festa”, proprio perché “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (At 10,34-35).

La nostra assemblea eucaristica, come anticipo del banchetto di nozze dell’Agnello, ha bisogno di assumere tratti sempre più riconoscibili del suo modello celeste, assumendo una forma nella quale i fedeli sperimentino la comunione e l’accoglienza.

I figli di Dio sono tutti attesi dal Padre celeste, che li ha chiamati sollecitando la loro fede perché si radunino insieme ai fratelli. È doveroso pertanto che i fratelli “maggiori” sappiano apprezzare la loro presenza che rallegra il cuore del loro Padre celeste.

Questi spunti fanno seguito all’esperienza raccolta nel tempo di pandemia, un’esperienza dolorosa che ha avuto molto da insegnarci e vogliono incoraggiarci ad essere “Chiesa in uscita”, missionaria e accogliente, nel momento più alto della nostra fede: la messa.

È importante che le necessità di controllo e di igiene che abbiamo assunto in questi due anni non restino solo questioni formali, ma si sviluppino nell’attenzione verso qualcosa che non tramonta mai: l’immagine di Gesù Cristo che è impressa in ogni persona, attraverso i tratti ecclesiali dell’accoglienza, dell’incoraggiamento, della familiarità, perché DALL’EMERGENZA si passi ALL’OCCASIONE.

SPIRITUALITÀ DEL SERVIZIO: LA GRAZIA DELL’ACCOGLIENZA

Il ministero dell’accoglienza è l’esercizio di quel particolare carisma ricevuto in dono dallo Spirito Santo per cui alcuni di noi sono maggiormente abilitati al servizio del prossimo così da avvicinare, accogliere e accompagnare amabilmente nel nome del Signore Gesù i fratelli e le sorelle che giungono nella nostra parrocchia. Il volto della parrocchia si riveste dei sorrisi e delle attenzioni di chi la rappresenta e l’efficacia della celebrazione passa anche dal sentimento di coloro che, semplicemente col loro modo di porsi, possono aprire il cuore dei fedeli al mistero che viene celebrato.

Non possiamo prescindere dal dire che la prima indicazione valida per ogni “servizio”, anzi, per la vita di ogni cristiano, la troviamo al capitolo 13 della prima lettera di San Paolo ai Corinzi. La carità di cui l’apostolo parla è l’unico pilastro sul quale dovremmo poggiare tutti i ministeri. Sembra scontato, forse banale, ma tutto si sviluppa e cresce nella consapevolezza che “i capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra di voi; ma colui che vorrà essere grande tra di voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere primo tra voi, si farà vostro schiavo” (cfr. Mt 20,25-28).

Quando si pensa al ministero dell’accoglienza la prima reazione è forse quella di relegarlo fra quelli “scartabili”, vale a dire fra quelli che è bene che ci siano, ma che possono anche non esserci e soprattutto che non richieda un profondo bagaglio spirituale e vera testimonianza cristiana. Niente di più sbagliato. Come tutti i servizi più umili, meno appariscenti e meno gratificanti, quello dell’accoglienza riflette, proprio per questo, l’essenza stessa della carità, che non si vanta, non si insuperbisce, non cerca il proprio interesse…

Esercitare il ministero dell’accoglienza, dunque, significa esercitare la carità al pari e forse ancor più autenticamente di altri ministeri più “eclatanti” e più gratificanti. Un’altra cosa va detta: tutti possono e devono esercitare il ministero dell’accoglienza: deve essere chiaro che il Signore ci accoglie nella misura in cui noi ci accogliamo l’un l’altro, in segno del vincolo di amore che ci unisce. Il fatto che alcuni fratelli vengano incaricati appositamente di questo ministero non significa che gli altri ne siano esentati, ma che, vista la loro importanza, alcuni compiti specifici non sarebbero svolti bene se fossero lasciati genericamente a tutti.

Chiunque arrivi in chiesa – sia i nuovi che tutti gli altri – deve potersi trovare a suo agio; perciò è bene che alcuni fratelli, a cui lo Spirito ha fatto dono dell’accoglienza in maniera particolare, si trovino all’ingresso pronti ad offrire un sorriso, una parola, una stretta di mano. Pronti anche a dare spiegazioni a qualche fratello che si trova lì per la prima volta e che desidera chiarimenti su quello che si sta per fare.

Occorre ricordare che, in buona parte, essi torneranno nella nostra parrocchia nella misura in cui si saranno sentiti accolti la prima volta. Ne deriva ancor di più la particolarità di questo ministero, che rappresenta il biglietto da visita della nostra parrocchia. Il ministro dell’accoglienza agisce a nome della comunità; attraverso di lui/lei è la comunità che dà il benvenuto, è la comunità che accoglie e mostra il volto del servizio.

Potremmo dire che una parrocchia che attraverso i suoi membri non è accogliente, rinnega quella che è la sua missione e la sua identità di Chiesa che come madre accoglie tutti.

Ovviamente nessuno di noi può sentirsi “arrivato”, né presumere di essere capace e meritare più di altri l’essere parte di questo gruppo dei ministri dell’accoglienza. Ciascuno di noi ha tanto da imparare, ha ancora da compiere un lavoro su sé stesso affinché lo spirito di accoglienza diventi uno stile che si acquisisce con un cammino umile, probabilmente un cammino ancora lungo. Uno stile che si manifesta non solo quando partecipiamo agli atti liturgici, ma anche nella nostra vita ordinaria.

IL BISOGNO DI VINCERE LE SPINTE INDIVIDUALISTE NELLA FEDE CRISTIANA

Per la nostra sensibilità, molto individualista nel momento intimo della preghiera, questa figura sulla porta della chiesa è stata un po’ mal sofferta, sopportata più per necessità che per altro, perché la nostra abitudine era di poter entrare a piacimento anche a messa già iniziata, prendere posto dove volevamo anche affollando la parete di ingresso, restare seduti o in ginocchio a piacere anche quando tutti facevano altro.

Questa invadenza è andata a cozzare contro un nostro pregiudizio liturgico radicato e ci ha ricordato che la celebrazione non è nostra, non è lo spazio dove posso fare quello che mi sento, ma è partecipazione alla vita della Chiesa perché sono io stesso Chiesa.

Sbagliavamo prima. Questo servizio di accoglienza ci ha costretti ad accettare una visione della celebrazione liturgica nella quale io “prendo parte” e non “prendo e basta”. Per perseverare in questo e trasformare l’urgenza in una prassi virtuosa, è ora necessario qualificare meglio questo servizio di accoglienza, perché non sia l’esercizio di una limitazione, ma l’aiuto a vivere meglio la celebrazione eucaristica, facendoci sentire attesi e importanti per la buona riuscita del rito. È altresì necessario che chi esercita questo ministero mostri il volto accogliente della Chiesa, che fa festa per i suoi figli e li introduce all’incontro con il Padre.

Per fare questo c’è bisogno anzitutto di un’attitudine del cuore, che si traduca in sguardi sinceri e manifestazioni autentiche di felicità. In questo modo, anche quando si dovrà ricordare un adempimento, non suonerà come un rimprovero ma come un incoraggiamento.

Vogliamo però richiamare l’attenzione anche sugli altri elementi che servono a rendere accogliente la celebrazione.

  1. Offerta di sussidi liturgici: libretto dei canti; sussidio della celebrazione o di vario genere. Cantare o non cantare, rispondere o non rispondere, fare proprie le preghiere o meno, non è uguale, non è indifferente. Avere o meno gli strumenti per esercitare la propria partecipazione è molto rilevante. Insieme con l’offerta di questi strumenti, proposti con gentilezza, occorre anche testimoniarne l’utilizzo e apprezzarne il valore.
  2. Indicazione di un posto a cui sedersi. Il Corpo di Cristo che è la Chiesa, quando si compone durante l’Assemblea, ancora oggi si raduna in modo disorganico, cercando non tanto di essere uniti, ma di essere piuttosto isolati. È necessario imparare a comporre la santa assemblea prendendo posto non tanto per sè stessi quanto per la migliore funzione dell’azione sacerdotale che insieme dobbiamo compiere. È il motivo per cui è necessario occupare tutti i posti a cominciare dall’altare. È evidente che, poiché questo non si è forse mai fatto, una proposta come questa possa apparire inizialmente disarmante, per quell’atteggiamento individualista che è ancora radicato in noi. Anche in questo però, non possiamo rassegnarci e smettere di tendere ad una vita liturgica più piena.
  3. Offerta di informazioni. È facile avere frequentazioni non abituali alla celebrazione liturgica. Possono esserci allora domande, richieste, curiosità che non si sa a chi indirizzare se manca una accoglienza. Capita che si desideri conoscere i dettagli di una iniziativa annunciata negli avvisi, o che si abbia bisogno dei servizi igienici… Chi si offre a questo servizio occorre che sia informato lui stesso sulla vita della parrocchia, che conosca le iniziative a cui fare riferimento. Insomma è necessario amare la propria comunità, interessarsene per poterla promuovere attraverso le attività proposte.
  4. Interessamento cordiale per la persona. Per qualcuno l’appuntamento della messa domenicale è un momento quasi unico per incontrare un volto amico. È opportuno offrirsi a questa prossimità qualora in qualsiasi momento dovesse rendersi necessario, verso chiunque, un aiuto o un supporto (per es. qualche anziano che non deve salire/scendere uno scalino di ingresso…).
  5. Raccolta delle offerte. Anche quest’ultimo compito ha la sua importanza sia in sé per sé, sia per l’atteggiamento attento che richiede (per es. la cura con la qualche si passa tra i posti per la raccolta, la calma, la delicatezza…).

Ci sono poi occasioni nel corso dell’anno nelle quali gruppi o associazioni vengono nella nostra parrocchia per farsi conoscere, esprimere un bisogno di aiuto e sensibilizzare la nostra gente in merito ad un tema particolare. Anche essi vanno accolti con tratti cristiani.

PRIMA E DOPO LA MESSA: STABILITÀ DEL SERVIZIO

Un opportuno servizio di accoglienza non può disporsi soltanto nell’imminenza della celebrazione. È necessario che sia presente con anticipo per accogliere tutti quelli che arrivano per tempo.

E conoscendo l’abitudine inveterata di certi ritardatari, è opportuno rimanere disponibili anche a messa iniziata, almeno per l’offerta del sussidio e l’indicazione dei posti liberi.

Ma anche al termine della messa è prezioso rimanere nell’accoglienza, per tutte quelle manifestazioni di interesse e di disponibilità di cui abbiamo fatto cenno sopra. Non può essere un servizio sbrigativo ed affrettato per poter essere efficace, come pure non può offrirsi in maniera saltuaria e incostante, per poter radicarsi e cambiare la veste delle nostre celebrazioni.


*Questi semplici appunti potranno essere oggetto di riflessione da parte di tutti noi, essere riveduti e ampliati. È importante che ognuno, offendo la propria disponibilità a questo ministero, lo faccia senza superficialità, ma piuttosto con la serietà con la quale va servito Dio e il prossimo. Un grazie va già a coloro che sino ad oggi, in un tempo di emergenza, hanno risposto con generosità all’appello. Nel proseguire questo servizio secondo una forma più cristiana verrà richiesto un “di più” fatto di testimonianza, di senso di appartenenza, di puntualità. Allo stesso modo, il sottoscritto parroco da una parte si impegnerà ad avere anch’egli un atteggiamento più accogliente, dall’altra osserverà che l’intero gruppo cammini secondo lo spirito evangelico della carità fraterna.